La vicenda sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione origina dalla declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato preventivo per difetto di legittimazione attiva dell’imprenditore individuale, che aveva cessato l’attività d’impresa cancellandosi dal registro delle imprese.

In proposito, il ricorrente lamentava una violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 160 e 161 l.f., sull’assunto per cui, essendo l’imprenditore entro l’anno dalla cancellazione assoggettabile al fallimento, in difetto di limiti normativi nonché in virtù della prevalenza della procedura concordataria su quella fallimentare, sarebbe ragionevole supporre che la presentazione della domanda di concordato sospenda il termine annuale per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore cancellato.

Con la sentenza n. 4329 del 20 febbraio 2020, la sezione  civile della Corte di Cassazione, invece, ha statuito che “il combinato disposto dell’art. 2495 c.c. e L. Fall., art. 10 impedisce al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l’anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere il concordato preventivo”.

Ed infatti, mentre la procedura fallimentare possiede finalità prettamente liquidatorie, la via concordataria tende alla risoluzione della crisi di impresa; donde, al cospetto della cessazione dell’attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione dal registro delle imprese, non vi sarebbe alcuna  realtà d’impresa rispetto alla quale possa porsi l’esigenza di assicurare, attraverso la procedura concordataria, la risoluzione della crisi con le modalità previste dal legislatore.

Il tutto è confermato dall’art. 33 del nuovo Codice della Crisi di Impresa, il quale sancisce l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese.

Tuttavia, la stessa pronuncia della Corte di legittimità lascia aperto uno spiraglio: difatti, mentre nella fattispecie concreta, i giudici di merito avevano accertato l’effettiva cessazione dell’attività suggellata dalla spoliazione del patrimonio aziendale, soluzione diversa avrebbe potuto essere adottata allorché, dal corredo probatorio, sarebbe emerso il superamento della presunzione di cessazione dell’attività collegata alla cancellazione dell’imprenditore individuale.