L’ordinanza n. 7117 del 12 marzo 2020 della I° sezione civile della Corte di Cassazione offre importanti spunti di riflessione sul concordato preventivo in bianco, chiarendone la natura e dettando i canoni di confezionamento del relativo ricorso introduttivo.

L’istituto citato trova ricovero sotto l’egida normativa nell’art. 161, comma 6°, l.f., alla stregua del quale “l’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice”.

Sotto l’aspetto dogmatico, la domanda di concordato preventivo in bianco condivide la stessa natura giuridica della domanda di concordato ordinaria, dato che, in ogni caso, la procedura concordataria ha il suo avvio, hinc et inde, con la pubblicazione della domanda nel registro delle imprese e non dal momento del deposito del piano e della proposta.

Segnatamente, l’ordinanza in rassegna precisa che “il cosiddetto preconcordato costituisce quindi non un procedimento autonomo e anticipatorio prodromico all’introduzione della procedura concordataria vera e propria, ma una mera opzione di sviluppo del concordato, alternativa a quella prevista dalla L. Fall., art. 161, commi 1, 2 e 3, secondo cui all’imprenditore, che già ha assunto la qualità di debitore concordatario, è concessa la facoltà di procrastinare il deposito di proposta, piano e relativa documentazione, al fine di anticipare i tempi dell’emersione della crisi, in un termine concesso dal Tribunale”.

Quanto al contenuto del ricorso introduttivo, per superare il vaglio di ammissibilità, è sufficiente il deposito della documentazione dettata dal comma 6° dell’art. 161 l.f., senza che l’imprenditore possa ritenersi assoggettato ad un benché minimo onus assertivo circa l’indicazione del tipo di piano da adottare, delle linee essenziali del medesimo e delle forme di soluzione della crisi di impresa.

Ragionare diversamente, precisa la Corte, significherebbe sovvertire il fisiologico sviluppo della procedura originata dalla domanda in bianco, la quale – in sintonia con l’intento legislativo di promuovere l’emersione anticipata della crisi, consentendo un’immediata protezione del patrimonio del debitore per il periodo necessario all’elaborazione del piano ed alla sua presentazione ai creditori – implica, per sua natura, che l’imprenditore predisponga efficacemente il piano e la proposta, non prima di aver verificato lo stato della propria condizione imprenditoriale, nel termine assegnato dal Tribunale.

Logico corollario di tale impostazione risiede nell’impossibilità di teorizzare qualsivoglia margine di discrezionalità del Tribunale rispetto all’adesione alla richiesta di concessione del termine.

In buona sostanza, “il debitore, ove presenti una domanda anticipata di concordato accompagnata da tutti gli elementi stabiliti dalla L. Fall., art. 161, comma 6, ha diritto alla concessione del termine per predisporre la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi 2 e 3”.

Pur tuttavia, anche per ragioni di economicità processuale, laddove il Tribunale ravvisi ictu oculi il tenore meramente dilatorio della domanda di preconcordato, siccome diretta a differire la dichiarazione di fallimento piuttosto che a regolare la crisi dell’impresa, deve immediatamente ravvisarne l’inammissibilità per abuso del processo.

Senonché, ammonisce la Corte di Cassazione, l’abuso del processo va sempre dimostrato in concreto e, a tal fine, scevri di significanza probatoria sono, da un lato, il differimento del procedimento prefallimentare per effetto della presentazione del ricorso per concordato in bianco, accadimento non anomalo tanto da essere previsto dall’ultimo comma dell’art. 161 l.f., e, dall’altro, la consapevolezza dell’imprenditore della consistenza dello stato di crisi dell’impresa, giacché la di lui volontà di porvi fine – con una soluzione concordataria – sostanzia un presupposto indefettibile dell’istituto in esame.