A mente dell’art. 79 l.f., “il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’articolo 111, n. 1”.

Con la sentenza n. 77/2019 del 29 gennaio 2019, il Tribunale di Rieti ha dovuto vagliare la legittimità della dichiarazione di recesso dal contratto esercitata dal curatore entro il termine prescritto dalla legge ma senza la preventiva offerta di pagamento dell’indennizzo alla controparte.

Difatti, l’affittuaria contestava la legittimità dell’intervenuto recesso ex art. 79 l. fall., sull’assunto per cui il curatore non aveva offerto la penale per l’anticipata risoluzione.

Orbene, il Tribunale reatino ha ritenuto che “la condizione necessaria ai fini del perfezionamento del recesso è soltanto quella del rispetto del termine legale ivi stabilito, mentre non può assurgere a presupposto di validità del recesso l’offerta di indennizzo, che rappresenta esclusivamente un effetto legale dello stesso”.

In tal senso, sovviene un approccio ermeneutico della normativa sia letterale che teleologico, in quanto, da una parte, la formulazione letterale della disposizione – prevedendo nel dissenso tra le parti l’intervento del giudice delegato – è chiara nell’incastonare la liquidazione dell’indennizzo nella fase successiva rispetto a quella dell’avvenuto recesso, e, dall’altra, la ratio della norma è volta a rafforzare la tutela di tutto il ceto creditorio in ipotesi di apertura di fallimento, il cui interesse deve ritenersi prevalente rispetto a quello del soggetto passivo del recesso.

Né, così ragionando, si prospetterebbe una interpretazione eccessivamente squilibrata a discapito del vecchio affittuario, il cui interesse è garantito dalla “possibilità per le parti, in caso di dissenso, di sollecitare l’intervento del giudice delegato”.

Conclude, pertanto, la sentenza testè citata che “l’esercizio del recesso del curatore fallimentare è condizionato esclusivamente al rispetto del termine perentorio di sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento e non anche all’offerta di indennizzo, atteso che l’accertamento della spettanza e della quantificazione dello stesso in favore della controparte contrattuale si colloca in un momento logico-temporale successivo rispetto all’avvenuto recesso ed è comunque demandato, in caso di dissenso tra le parti, al giudice delegato”.

Una conclusione senz’altro condivisibile, se non altro per motivi di ragionevolezza, giacché il curatore fallimentare, nella maggior dei casi, non dispone del background di notizie necessario per una ponderata quantificazione dell’indennizzo.